Ecuador. “Que linda gente!”: la finanza popolare non estrae, ma semina.

Da lontano, vediamo i fuochi generati dal petrolio che brucia, ancora più alti di quelli intravisti ieri durante la navigazione sul Rio Napo. Sono 447 i “camini” che una legge ha chiesto di riorganizzare in modo tale da non disperdere l’energia e causare questo inquinamento. Solo due, dice Bepi, si sono adeguati.

Arriviamo a Lago Agrio, nella provincia di Sucumbios. Il nome della città deriva proprio dallo sfruttamento petrolifero.

Visitiamo l’agenzia di Banco Codesarrollo, che ha sempre vicino quella del FEPP. Anche qui la Jefa de agenzia (che oggi non è in sede) è una donna. Su 20 filiali di Codesarollo, più della metà (11) sono dirette da donne.

Qui lavorano con il settore rurale, le comunità indigene, i giovani, le donne. Hanno crediti per 12 milioni di dollari e raccolta per 8. “Capite bene, osserva Bepi, a cosa servono i finanziamenti provenienti dalle BCC italiane: a sostenere lo sviluppo”.

Pochi passi a piedi e arriviamo alla bella sede della Cooperativa de Ahorro y Credito FOCLA.

Ci accolgono tre donne: Presidente, Vice Presidente e Direttrice, tre compagne di scuola che si sono trovate insieme a lavorare per lo sviluppo di questa Cassa, che oggi appartiene al terzo segmento, ha erogato circa 12 milioni di finanziamenti e conta 14 mila soci.

La Cooperativa è nata, come tutte le altre, per dare risposta alla difficoltà di accesso al credito delle popolazioni indigene. È molto cresciuta, ma non mancano le difficoltà. Lo sfruttamento del petrolio, che si è avviato in questa regione alla fine degli anni ‘60, si è oggi spostato verso El Coca, e questo ha ridotto il dinamismo dell’economia, così molti sono emigrati verso gli Stati Uniti. In più, trovandosi a 22 km dalla Colombia, tutto il commercio fa fatica (è infatti conveniente andare a comprare in Colombia dove ci si avvantaggia del cambio favorevole dollaro-pesos).

Foto di rito con grandi sorrisi e un sincero ringraziamento per l’accoglienza sempre straordinaria e partiamo con Donald Moncaio, leader della lotta contro le grandi aziende petrolifere che hanno devastato il territorio, per il cosiddetto “Toxic tour”.

Ci porta a vedere il pozzo numero 20 dove veniva estratto il petrolio dalla Texaco, acquistato poi dalla Chevron, che è stato attivo fino al 1988. Qui ci fa sentire l’odore delle acque di formazione, cioè le prime acque estratte nello scavo di un pozzo che hanno un pungente odore di benzina. Queste estrazioni avvengono per capire la quantità di petrolio estraibile in un giorno e la qualità dello stesso.

Le acque sono state riversate in “piscine” a poca distanza dal pozzo e ricoperte da un mantello di terra. Le tecnologie utilizzate negli Stati Uniti avrebbero ridotto l’impatto ambientale con la ri-iniezione delle acque nel pozzo stesso, ma ciò sarebbe costato 3 dollari al barile. Il realtà il costo di questa decisione genocida è stato molto più alto: sono scomparsi a causa delle malattie causate dall’inquinamento due popoli indigeni di cui rimangono solo qualche foto e una targa sul pozzo.

Mentre Donald scava un buco nel terreno vicino al pozzo, già a pochi centimetri di profondità vediamo la zolla nera e maleodorante del petrolio, e andando poco più giù le acque di formazione disperse nel terreno che vanno a contaminare le falde. 60 mila milioni di litri di queste acque sono finite nei fiumi, causando la fine della vita acquatica per molte specie.

Dal 2011 stanno lavorando per dimostrare il legame tra il comportamento dell’azienda petrolifera e la crescita esponenziale di casi di cancro. Da un’indagine effettuata insieme ad una ONG svizzera, è emerso che nel 2017 solo in 4 degli 11 cantoni vi sono stati 3.750 morti e più di 400 malati di cancro. L’incidenza è superiore a Detroit.

Donald cita la causa contro la Chevron, vinta in prima istanza in Ecuador. Purtroppo, il risarcimento di 9,5 miliardi di dollari deliberato non è stato mai erogato effettivamente. La causa, infatti, è stata portata negli Stati Uniti e l’azienda petrolifera ha sostenuto la tesi che fosse tutta una frode per ottenere soldi.

Oggi, la speranza delle popolazioni indigene è nel 41% degli azionisti della società che, per ragioni di rispetto dei principi della sostenibilità, chiede che Chevron proceda al risarcimento.

Ci sarebbe ancora molto altro (purtroppo) da vedere, ma la pioggia si fa più fitta e risaliamo nel pullman.

Ripartiamo dall’Amazzonia con la consapevolezza di quello che ha causato da questa parte del mondo lo sfruttamento petrolifero, di quanto questo eco-sistema dell’Amazzonia, unico nel pianeta, sia fragile e prezioso e di quanto sia utile e necessario il lavoro della finanza popolare, che non estrae, ma semina: sviluppo e buen vivir.

Claudia Benedetti, Federcasse
Giuliana Pieroni, BIT

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