Partiamo puntuali da Ambato alle 6:30, destinazione Chimborazo.
Il tempo sembra non aiutarci: la nebbia e la pioggia ci accompagnano per buona parte del tragitto e sembra incredibile che in questo paramo, ovvero un altipiano di circa 4000 metri dove la vegetazione è così brulla e arida possano vivere delle popolazioni.
Da questa montagna e dal suo ghiacciaio dipendono molti villaggi: purtroppo, secondo i ricercatori francesi, anche questa vetta come le altre delle Ande, sta andando incontro ad un rapido scioglimento a causa del riscaldamento globale.
Il Chimborazo è soprannominato dagli abitanti “Taita Chimborazo”, ovvero “papà Chimborazo”, mentre la madre è il Tungurahua.
È emozionante essere di fronte alla cima più alta del mondo.
Infatti, sebbene sia 2.547 metri più basso dell’Everest, la sua sommità dista dal centro della Terra 2,5 km in più della cima della montagna himalayana. Se si intende quindi come “montagna più alta” quella che si protende maggiormente nello spazio, il vulcano ecuadoriano con i suoi 6.310 m è in assoluto la più alta vetta terrestre. O anche il punto più vicino al sole.
Lungo il tragitto fanno capolino alcune vigogne dal pelo color nocciola.
Sono state reintrodotte in questo ambiente – con l’aiuto del Perù, dove sono molto diffuse – perché brucano senza strappare l’erba e hanno sotto le zampe una sorta di cuscinetti che non rovinano il suolo.
La popolazione locale, prima del Covid, aveva avviato insieme ad alcune università, un’attività controllata di raccolta della pelliccia della vigogna, che non lavorata costa oltre 400 dollari al kg, mentre per il filato pronto da tessere si arriva a circa 2.000 dollari.
Ce lo racconta la nostra guida Maria Magdalena che è salita a bordo del nostro bus, che insieme a suo fratello Segundo Mariano ci accompagneranno fino al rifugio a 5.100 metri.
Maria è una imprenditora che si è sposata a 15 anni e ha tre figlie femmine di 21, 15 e 6 anni.
La più grande la aiuta nel suo lavoro con i turisti. Ci sono giorni in cui non viene nessuno a salire queste pendici, e le guide non lavorano, mentre altre volte percorrono la salita fino al rifugio anche tre volte al giorno.
Suo fratello ha quattro figli, i due più grandi stanno studiando all’università: la figlia medicina e il figlio ingegneria ambientale.
Anche se il tragitto a piedi che porta al secondo rifugio è breve (sono circa 200 metri di dislivello), respirare a questa quota è difficilissimo e molti di noi decidono di aspettare il gruppo che affronterà la salita gustando un caldo mate, un’infusione di foglie di coca.
Riunito il gruppo, partiamo alla volta dell’Asilo Mamma Catalina che si trova più in basso, a 4.200 metri. Non siamo preparati a quel che ci attende: un piccolo villaggio, battuto dal vento in una terra brulla. La povertà qui “picchia forte”, come le raffiche di vento.
Questo asilo, costruito soprattutto grazie alle donazioni del Credito Trevigiano (oggi Banca delle Terre Venete) e di Piove di Sacco, sembra una nuvola felice e colorata in mezzo al nulla.
Percorriamo il corridoio, e l’emozione aumenta ad ogni passo.
In fondo c’è una stanza con tavolini e seggioline colorate e sei bimbi dei due ai tre anni seduti a colorare, assistiti dalla loro eroica maestra Viviana Pungaña.
Nell’asilo dovrebbero esserci circa 30 bambini ma lo stato ha tagliati i fondi e in queste settimane riescono ad accoglierne solo 6.
Naturalmente, non c’è nemmeno lo stipendio per le maestre che continuano a venire qui perché non possono abbandonare i bambini.
Loro sono comunque i più fortunati, protetti in questo asilo dal freddo e dal vento che lasciano segni visibili anche sulle loro guance.
All’arrivo ci hanno accolto con sguardi diffidenti e curiosi. Ben presto, giocando con loro si sciolgono e ci regalano bellissime e sonore risate. Siamo tutti commossi.
Abbiamo portato loro qualche dono: abiti, matite colorate, pennarelli, giochi. Oggetti necessari che per loro sono preziosissimi.
L’abbraccio che ci riserva la maestra salutandoci racchiude tutte le emozioni che non riusciamo a raccontare.
Arriviamo a Salinas de Guaranda per pranzo.
Prima dell’arrivo di Bepi e degli altri missionari salesiani dell’operazione Mato Grosso, Salinas era un piccolo paese fatto di abitazioni di paglia. La maggioranza dei salineros viveva in zone isolate: non c’erano strade, luce elettrica, telefono, fognature, dispensario medico e tutti i campesinos erano sfruttati da una famiglia di latifondisti. All’inizio degli anni settanta, è iniziato il cammino di rinascita di questa comunità.
Ce lo ricorda padre Padre Antonio Polo, che è arrivato a Salinas nel 1972 e non è più andato via.
Ci ha raggiunto a pranzo a bordo della sua moto: la sua energia, nonostante l’età e gli acciacchi è davvero incredibile. Cura questa comunità e altri 32 piccoli villaggi sparsi su questo altipiano.
“Per raggiungere i piccoli villaggi qui intorno, senza auto naturalmente, camminavamo anche 12 ore.” Quando arrivarono qui, insieme a Bepi Tonello e agli altri volontari, istituirono una cooperativa che permise di ridistribuire la proprietà della terra a tutti i salineros attraverso piccoli prestiti.
Da allora Salinas continua a crescere.
I giovani e le donne, come le cugine Gabriela e Patricia Vargas che ci hanno raggiunti per condividere la loro esperienza, decidono di restare qui e di sviluppare le opportunità di questa comunità attraverso la cooperazione.
Il macismo, ci dice una di loro, è ancora forte ma il cammino è iniziato.
Sono donne e cooperatrici che hanno studiato per fare la differenza.
Padre Antonio ci ricorda che il valore aggiunto del lavoro è il fatto di svolgerlo insieme, in comunità. Sono quattro i principi ispiratori che guidano questo cambiamento: intelligenza, sudore, amore e onestà e sono i tre mali che dobbiamo sconfiggere: rivalità, retorica e routine.
Visitiamo la filanderia, la fabbrica di cioccolato e la “queseria”, il caseificio del marchio Salinerito, ormai riconosciuto in tutto l’Ecuador come di alta qualità, ci ricorda Bepi con soddisfazione.
Sono tutte imprese cooperative che sono nate qui e che hanno assunto molti giovani.
Tornati in albergo ci attende l’ultima attività (a sorpresa) della giornata, la più significativa! Per noi certamente, ma ancor di più per molti colleghi di Codesarrollo e del Fepp, arrivati ad Ambato appositamente da Quito: il compleanno di Bepi. L’atmosfera di gioia, affetto, riconoscenza per il suo inarrestabile impegno abbraccia tutti noi. Auguri sinceri compañero!
Firma Michela Mangano,
BCC del Garda
Leggi il diario
- Ecuador. “Que linda gente!”: un viaggio iniziato 22 anni fa
- Ecuador. “Que linda gente!”: la finanza si fa anche con il cuore
- Ecuador. “Que linda gente!”: la cooperazione è la forza di una comunità.
- Ecuador. “Que linda gente!”: stare insieme nella diversità, con gentilezza.
- Ecuador. “Que linda gente!”: un sogno possibile per cambiare l’Ecuador
- Ecuador. “Que linda gente!”: donne, maestre, imprenditrici e cooperatrici, eroine di Salinas.
- Ecuador. “Que linda gente!”: le cose si cambiano nel tempo, con rispetto.
- Ecuador. “Que linda gente!”: la finanza popolare non estrae, ma semina.
- Que linda gente!
- Videoracconti dall’Ecuador