Lo abbiamo imparato dalle parole di Willman, pochi minuti dopo l’alba, quando ci ha accompagnato nel suo Eco Horto a San Clemente.
Siamo a pochi km da Ibarra, la città bianca che di notte è uno spettacolo di luci.
Ormai abbiamo imparato a conoscere la straordinaria accoglienza di queste persone. Anche qui e al nostro arrivo poco dopo il tramonto non mancano balli popolari e sorrisi.
La serata insieme finisce presto. Questa notte la passeremo, divisi in piccoli gruppetti, nelle case campesine gestite dalle famiglie della comunità. Ed è una esperienza unica.
A noi ci aspettano Solia (la moglie di Willman) e sua cugina Aurora. A cena ci immergiamo nelle chiacchiere di chi è curioso di conoscere un altro modo di vivere.
E prima di andare a letto, sparecchiata la tavola, ci diamo appuntamento alle 6.30 per accompagnarli nei lavori dell’orto.
La storia di Willman ci aiuta a capire cosa significhi per la gente di San Clemente comunità e famiglia.
Tutto ciò che producono è legato alla terra e ai ritmi del calendario lunare, un cerchio che troviamo scolpito sulla pietra all’ingresso del suo orto.
In questa comunità oggi, fatta da 180 famiglie, come ci fa notare Bepi, le persone stanno bene e oltre alla funzionalità degli spazi ne curano l’estetica. Case, giardini, orti: tutto è perfettamente pulito e ordinato. Le tante insegne lungo la bella strada, tutta ben lastricata, ricordano ai visitatori che sono i benvenuti.
L’idea dell’eco orto si basa sui tre principi essenziali.
Il primo è il recupero dei semi e delle colture indigene, come il mais nero.
Il secondo è ridurre al minimo lo spreco delle risorse idriche: Willman ci mostra il sistema di raccolta delle acque piovane che circonda il suo orto e che gli permette di convogliarle a valle dove ha gli animali. Ci spiega che anche le foglie di platano assorbono umidità e grazie ad un sistema di raccolta che ha costruito alla base delle piante può stipare l’acqua in serbatoi per le stagioni più secche.
E per risparmiare acqua hanno il “bagno secco”: attraverso una pacciamatura possono trasformare il liquami in concime per i campi.
La terra ha bisogno di essere fertilizzata poiché è povera: studiando e sperimentando, questa comunità ha imparato ad arricchire il fertilizzante con le sostanze naturali (come la melassa) e a piantare tipologie diverse di piante nello stesso appezzamento in modo che i nutrienti di ognuna creino beneficio per le altre circostanti.
Quello che si mangia qui è solamente quello che dà la terra, la pacha mama, seguendo la luce del sole, il solstizio e naturalmente il lavoro dell’uomo, la sua resilienza.
Un concetto semplice, che sa farci riflettere (e che ci sembra avanti anni luce dalla nostra idea di biologico).
Il terzo principio è quello della minga: un esempio su tutti chiarisce in modo pratico cosa significhi.
Qualche tempo fa lo Stato ha chiesto ad una famiglia della comunità di San Clemente 15mila dollari per realizzare 300 metri di strada. La risposta è stata la “minga”, il lavoro comunitario gratuito. Ogni famiglia si è presa in carico 4 metri lineari di strada. Willman ci dice che lui ne ha lastricati 8, anche quelli che spettavano alla famiglia della figlia. Una sola giornata, e la strada era terminata. Un chilometro e mezzo. Comunità e cooperazione hanno creato valore per tutti.
La mattina, dopo ricche colazioni con le nostre famiglie, ci ritroviamo tutti nella casa principale. Qui le famiglie indigene, con il loro leader Manuel Guatemal, ci illustrano le simbologie chiave che scandiscono la quotidianità e le tradizioni.
Il cerchio, lo zig zag (che ricorda il saliscendi della vita) è naturalmente il sole: il 21 giugno si festeggia la festa dell’Inti Raymi, giorno in cui si celebra la luce del sole e la vitalità della natura.
È proprio vero, come dice Claudia Benedetti salutando la comunità, che abbiamo imparato che nella vita c’è qualcosa sopra e sotto questa terra e dobbiamo imparare a rispettarla.
Ricaricati da questo buongiorno così energetico saliamo sul nostro pullman per raggiungere la tappa successiva: ci attendono alla Cooperativa di risparmio e credito Naranja Puyo. Il clima è quello della festa domenicale: fuori dall’edificio una partita di calcio e piccole bancarelle artigiane con tovaglie e vestiti finemente ricamati – impossibile non acquistarne alcune per ricordo.
Entrati in sala, il direttore della Cassa esordisce con un messaggio decisamente chiaro ed efficace nella sua semplicità: “non risparmiare ciò che avanza dopo aver speso, ma spendi quello che resta dopo aver risparmiato”.
Il risparmio, lo stiamo imparando durante questa missione, è la forma più importante per uscire dalla povertà, e anche questa cassa rurale ha fatto bene il suo lavoro.
I numeri che ci presentano raccontano la solidità di questo modello: dare credito per sostenere l’economia locale e sostenere le famiglie.
I fondatori della casa sono seduti tra di noi e si alzano in piedi con orgoglio gentile quando il direttore li chiama uno ad uno.
Prima di festeggiare il nostro arrivo, con immancabili balli e canti, Bepi ricorda a tutti che siamo chiamati a risparmiare non solo denaro ma anche acqua, energia, tempo. E talvolta anche le parole.
È proprio così.
Ci dirigiamo ora verso la Mitad del Mundo dove passeremo qualche ora allegra da “classici” turisti.
Ma tutti custodiamo il ricordo dell’esperienza a San Clemente. Senza aggiungere altro. E accogliendo l’invito ad una spiritualità che ognuno di noi saprà interpretare al meglio.
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